lunedì 25 maggio 2009

L'UNIVERSO TRA ORIENTE ED OCCIDENTE.
di Marco Ferrini.

Estratto dalla lezione tenuta a San Giminiano il 28.03.2009 dal titolo: “Coscienza e Origine dell'Universo” di cui è disponibile la registrazione audio.



Il tema inerente l'Universo, ovvero la sua nascita e la sua espansione, ha certamente avuto ed ha un richiamo profondo per tutti coloro che, guardando il cielo e ponendosi domande sulla sua natura, da sempre si sono dedicati allo studio della vita e della materia. Sono stati scritti innumerevoli libri, sono state spese tante parole, è stato utilizzato un fiume di inchiostro per scrivere teorie e dottrine di varia estrazione. In questo articolo non sarà discusso l'argomento secondo una prospettiva già trattata da vari studiosi, i quali principalmente si interessano di un aspetto dell’Universo differente da quello descritto dalla Cultura Indovedica.

Letteralmente, Universo indica un discorso che va verso l’uno ed è sorprendente come questo “uno” sia in stretta relazione con il concetto di coscienza appartenente alla dimensione intellegibile. Secondo la Tradizione cui si fa riferimento, probabilmente la più antica fra tutte le scuole di filosofia del genere umano, ovvero la Filosofia Samkhya, il pensiero, il contributo psichico per intero, quindi anche il concetto, l’intelletto, non si può separare e di fatto non è separabile dall’universo fisico, che come direbbe Aristotele [384 a.C. – 322 a.C ] è il mondo tangibile. Quindi si è in presenza di due entità: il mondo intellegibile (in cui compare come attributo la coscienza) e il mondo tangibile di aristotelica memoria. Entrambe queste componenti, integrandosi, costituiscono l’Universo. La Filosofia Samkhya dice che questo complesso di energia, energia e materia ci dirà poi Einstein all’inizio del secolo scorso, può essere rappresentato come due lati della stessa medaglia: l’energia come materia in movimento, ovvero energia cinetica, e la materia come energia nella sua temporanea staticità. Analoga conclusione è stata ottenuta anche dai microbiologi, e ultimamente dagli esponenti della Fisica quantistica. Di fatto oggi si parla molto della relazione esistente fra l’osservatore e l’osservato, e si pensi che solo cento anni fa parlare di questi argomenti poteva essere motivo di persecuzione. Le più importanti ed eclatanti teorie in questa materia sono infatti datate a partire dal primo ventennio del secolo scorso, ad esempio il principio di indeterminazione di Heisenberg è stato enunciato nel 1927, e il teorema di Bell nel 1965.
La particolarità della Tradizione Indovedica risiede nel fatto che i suoi principi sono stati esposti in maniera pressoché scientifica, intendendo con questo termine un significato semantico più ampio rispetto quello che ha assunto negli ultimi due secoli in Occidente. Certamente, in generale occorre rivedere il concetto di scientificità così come interpretato dalla società moderna e decidere se doverlo limitare necessariamente alle sole scienze positive, ovvero al positivismo così come inteso da Comte (1798-1857), oppure se si debba tornare ad un concetto di scienza molto più ampio che includa anche diverse sfere del sentire profondo umano.
Ad onor del vero, una non trascurabile componente dell’elite della ricerca scientifica del mondo moderno è certamente più aperta oggi di quanto non lo fosse uno o due secoli fa. Si pensi a tanti scienziati che hanno esposto teorie innovative, come M. Todeschini, D. Bohm, F. Capra e tanti altri. Oggi, in parte, sembra rientrare quell'approccio estremamente razionale alla scienza nato originalmente nel periodo storico dei lumi e sviluppatasi poi come vera e propria protesta verso le religioni dogmatiche, diventando a sua volta un culto quasi fanatico alla Dea ragione, come se la ragione fosse l’unico mezzo di investigazione della realtà. A ciò una parte della comunità scientifica si contrappone ora con un approccio all'indagine scientifica molto più equilibrato, e con una dialettica più permissiva, in un certo senso più fluida e si comprende che la conoscenza, affinché si sviluppi in modo armonico, necessita della presenza di nuovi strumenti e quindi di attingere a nuovi paradigmi. In questo senso la filosofia Samkhya fornisce spunti per poter re-interpretare il mondo moderno. Esso è quel mondo che, essendo per sua natura in continua mutazione, si propone e si presenta sempre con nuovi scenari (parinama). Per cui non è possibile affermare che conosciamo qualcosa in senso assoluto e che quella conoscenza la possiamo ritenere definitiva e riproporre così com’è generazione dopo generazione. Diversi Fisici affermano infatti che le stesse leggi della Fisica, in realtà modelli, sono in continua mutazione: le leggi che valevano un frammento di secondo dopo il Big Bang erano completamente diverse da quelle che possono essere applicate ora.
L’Universo nel quale viviamo è in continua perenne mutazione, così ci dice la filosofia Samkhya, così affermano il Vedanta ed i Purana e in generale tutte le scienze collegate alla visione Bhagavata dell'energia materiale (prakriti) e dell'energia spirituale (purusha). Tali testi ci stimolano a non rimanere strutturati rigidamente e prigionieri di schemi inflessibili di conoscenze empiriche, esito di un uso cieco della sola ragione. Infatti tali conoscenze non possono altro che essere in movimento, e armonizzandosi con la dinamica stessa della natura, non possono altro che seguire una trasformazione loro stesse al fine di poter prendere continuamente coscienza delle modificazioni cui è sotto posto il mondo in cui viviamo. Qui non si fa riferimento solo alla società, alla politica, ma anche alle strutture della materia stessa, all’ambiente nella sua totalità che è in perenne mutazione.

Il Samkhya è una scienza che fa parte degli Shad Darshana, sei sistemi/scuole di pensiero/visioni del mondo che propongono una via concreta verso la felicità e non una fuga da essa. Si tratta di un modo di vivere che si basa sull'assunto di mettere al primo posto il sogno più alto della vita: il conseguimento della felicità. Questo traguardo include la immortalità, e una conoscenza olistica non frammentata, ovvero non soggettiva né relativa. Una conoscenza che sconfina nella saggezza, nella sapienza di ottenere quello stato di profondo e duraturo benessere così tanto anelato da tutti gli esseri viventi. Queste sei scuole di pensiero hanno lo scopo di indirizzare il soggetto all’ottenimento della realizzazione ultima della vita in modi diversi, a seconda dei gusti di ciascuno per il Divino. Ciò è quel processo che Jung definirebbe “la via di identificazione/individuazione di sé” per individuare sé stessi, e così giungere al cuore del programma del nostro sistema-corpo.

In questo testo facciamo riferimento, principalmente, ai testi dell'India Classica, ma non dimentichiamo che, di fatto, quello della ricerca di sé è il quesito principale di tutte le tradizioni. Infatti anche nella Grecia Classica, nel tempio dell’Apollo di Delfi, campeggiava una grande scritta: ”Conosci te stesso”, proprio ad indicare che l'intraprendere questo processo evolutivo è un investimento che può richiedere una vita intera e che, avvicinandosi verso la meta, è possibile definire molto meglio il nostro posizionamento sul piano sociale, in particolare nel comparto sociale che è più adeguato alle nostre tendenze ed in cui possiamo operare al meglio, non soltanto in rapporto a noi stessi, che è l'aspetto più importante, ma soprattutto con gli altri. Nella tradizione Indovedica questo è un punto cruciale poiché gli altri non solo sono indispensabili, ma hanno un ruolo importantissimo nella nostra illuminazione, e nella nostra evoluzione.

Il Samkhya tradizionalmente si studia insieme ad un’altra scuola che è quella Yoga. Esse forniscono il fondamento teorico astratto e la sua attuazione pratica. Condividono la stessa visione del mondo e offrono diversi spunti dalla teoria alla prassi proprio per consentire di vivere in modo armonioso un viaggio di crescita al fine di conseguire la conoscenza suprema interpretando questa vita stessa come il luogo dove l'essere vivente, facendo esperienza, può compiere un salto evolutivo verso la libertà e l'amore. Quindi il Samkhya vede questo Universo come un immenso laboratorio in cui il sé fa esperienza di sé stesso e delle proprie capacità . Nel fare questo a volte raggiunge l'obiettivo (ed è quindi appagato) e a volte no (ed è quindi frustrato) a causa dei suoi condizionamenti e delle sue (false) convinzioni profonde. In questo contesto secondo la visione del Samkhya l'Universo appare come uno scenario in un copione teatrale, con un inizio ed una fine, ma non ex-nihilo, bensì con un preciso alternarsi di manifestazioni e riassorbimenti dove gli esseri viventi, appunto, possono fare esperienze.

La particolarità del Samkhya, al contrario dell'impostazione delle scuole psicologiche moderne, è che la struttura psichica è parte dell’Universo. La struttura psichica non è il sé, è parte dell’Universo. Questo è anche quanto afferma Jung, noto studioso della cultura dello Yoga e del Vedanta, che ha utilizzato i principi enunciati in queste opere per canonizzare la sua dottrina sulla Individuazione di sé, utilizzando un linguaggio molto efficace a lui contemporaneo. Infatti nella tradizione dello Yoga troviamo ben descritto questo concetto secondo cui la psiche è parte dell’Universo, quindi dell’osservato, non dell’osservatore(1). Nel 1927 Heisenberg arriverà allo stesso risultato attraverso l'enunciato del principio di indeterminazione con il quale egli spiega che non si può conoscere compiutamente un fenomeno perché mentre si osserva, esso si modifica.

Che cosa non è in continua trasformazione? Quello che Parmenide chiamava l’ente, il purusha o atman per la filosofia Samkhya, quell’elemento che è testimone dell'esperienza, la coscienza, prima che essa venga distorta e inquinata dalle energie che provengono dalla natura, dallo “spettacolo”. Quindi lo spettatore (l'osservatore, la coscienza) e lo spettacolo (l'osservato, la natura materiale) interagiscono da tempo infinito, un tempo senza data, nel creare il mondo fenomenico che noi percepiamo come reale. Gli elementi materiali si rendono disponibili per una interazione con la coscienza e l’Universo appare come l’esito del gioco dell’osservatore con l’osservato.

Ciò che affascina è la non contraddizione evidente fra certi risultati della ricerca moderna e le affermazioni che troviamo nei testi sacri dell'India Classica, dimostrazione evidente di una conoscenza di valore assoluto che può coniugare Scienza e Spiritualità. Un presupposto essenziale per entrambe e la definizione chiara di ciò che si cerca al fine di avere un approccio alla ricerca caratterizzato da una volontà aperta, dinamica, elastica e possibilista, per accostare, verificare e discernere se tra ciò che si è accumulato in millenni di ricerca ci sia un filo conduttore che può facilitare una comprensione non solo intellettualistica e soprattutto una acquisizione del senso che non includa quindi solo dati o numeri. E' qui che la vera esperienza mistica fa da sintesi fra scienza e spirito religioso. Quella necessità che in tutti i cuori palpita verso afflati ideali.

(1) “Il soggetto [che vede] è in verità il motivo di ciò che è visibile [ciò che viene visto esiste in funzione del soggetto che vede]”. Yoga Sutra di Patanjali, Sadhana Pada, Sutra XXI.

martedì 19 maggio 2009

L'ESSERE QUANTICO ABITUDINARIO (PARTE PRIMA).
Tratto dalla Lezione del Corso di Counseling tenuta in data 21/03/2009.
di Andrea Boni.

Sommario.
I recenti ritrovati della fisica moderna inducono a dedurre che lo stato di coscienza di una persona determina la tipologia delle sue reazioni agli eventi, ai problemi che emergono sul piano della psiche e la scelta delle relative soluzioni. Grazie a una precisa conoscenza delle dinamiche psichiche si può ampliare il punto di vista del soggetto cui è necessario infondere sicurezza nelle scelte. Per agire con successo occorre apprendere chi siamo, chi è l’altro e comprendere le relazioni fra noi e l’altro. Si deve sentire l’altro come parte di noi stessi e di quel Tutto col quale dobbiamo necessariamente entrare in relazione per essere completi. Se si comprende l’importanza del nostro ruolo all'interno del Cosmo e se si riscopre la nostra reale capacità di aiutare l’altro, tutto diventerà più semplice per il cammino di crescita che di fatto rappresenta il fine della nostra vita. In questo percorso, come evidenziato sia dalla Filosofia Samkhya che dai risultati della Fisica moderna, la comprensione della relazione che intercorre fra osservatore ed osservatorappresenta il punto cruciale . Questo articolo tratta dell'osservatore e dell'osservato, e mostra come l'essere nel suo insieme sia di fatto un essere “quantico”, ovvero un essere in cui le emozioni, i sentimenti, i pensieri, e tutto ciò che ne consegue, incluso il corpo stesso, sono conseguenza dello stato di coscienza in essere.

Il Cervello: uno strumento potente per l'evoluzione.
Esistono tanti studi che evidenziano come l’Universo nel quale noi viviamo sia costituito di informazioni. Si pensi che il nostro cervello ha la capacità di lavorare con circa 400 miliardi di informazioni, ma noi abbiamo consapevolezza solo di 2000 di esse. Quindi c’è da chiedersi, quanto siamo effettivamente consapevoli di cosa sia la realtà? In verità noi stiamo utilizzando una piccolissima parte del nostro cervello. Per avere un ordine di valutazione, si consideri che il cervello umano è mille volte più veloce del più veloce supercomputer oggi presente sulla terra. La massa cerebrale contiene tanti neuroni quante sono le stelle della Via Lattea, circa 100 miliardi, ed il numero di connessioni possibili fra essi è pressoché infinito. Inoltre, il cervello modifica continuamente queste connessioni, ovvero è dotato di un fenomeno noto come neuro-plasticità, cioè della capacità esistente in noi al livello cerebrale di poter modificare continuamente le connessioni sinaptiche, strutturare nuove reti, e quindi dare vita a nuove modalità percettive, a capacità di elaborazione e di apprendimento, a generazione di nuove emozioni o di abitudini. Quindi dobbiamo renderci conto che il cervello è uno strumento estremamente potente e versatile che noi abbiamo a disposizione e che in realtà viene utilizzato per una piccola parte delle sue piene potenzialità.

Nell’ambito della psicologia e della filosofia dell’India antica questi aspetti, erano ben noti. I Rishi vedici, i saggi indovedici, avevano questa conoscenza e avevano anche la capacità, grazie al loro elevato stato di consapevolezza, di poter attingere pienamente alle potenzialità del cervello e della mente. Noi invece stiamo utilizzando questi strumenti poco e male. Come tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione, il cervello e l'apparato psichico nel suo insieme, ci vengono forniti al fine di conseguire progressivamente una evoluzione della coscienza, e di accedere quindi a livelli di consapevolezza sempre più elevati nei quali è possibile percepire la vera essenza della personalità, e come naturale conseguenza sentirsi parte del Tutto e in unione con Esso. Questo è uno degli aspetti più interessanti della Cultura Indovedica che si discosta da quella occidentale. Infatti, mentre secondo la scienza occidentale classica, in linea con l’approccio di Darwin, l'evoluzione è spiegata come conseguenza di una modificazione genetica, sostanzialmente una evoluzione della struttura fisica a partire da una forma primitiva fino ad arrivare a una apparentemente più evoluta, nella Cultura Orientale e dell'India Antica in particolare, questa scala evolutiva altro non è che un effetto di una evoluzione di coscienza, l'essenza della parte più profonda della personalità.

Come spiegano anche i risultati più recenti della Fisica quantistica, ma già presenti nella cultura dello Yoga, del Vedanta, delle Upanishad e dei Purana, è la coscienza a creare la realtà. E' la coscienza che modifica le strutture neurali, i geni, e da forma al percepito (la materia). In questo articolo vedremo come sia il nostro stato di coscienza a modificare anche struttura cerebrale, che poi condiziona certi automatismi che si manifestano nel comportamento, nell'umore, nella tipologia di emozioni. Da qui l’importanza di cambiare paradigma nella nostra visione di base. Questo è proprio il punto di vista fondamentale di una parte della scienza di oggi ed è caratteristico del portato, non solo indiano, ma della cultura orientale in generale.

Il paradigma personale.
Quando noi viviamo come soggiogati da meccanismi mentali (bolle psichiche) pensiamo che quella che percepiamo sia la sola realtà e non riusciamo ad andare al di fuori di quella ristretta visione che costituisce il nostro paradigma personale. Ecco che determinante risulta essere il ruolo di una personalità esterna (una guida spirituale, il counselor, ecc.), che ci illumini fornendoci un'altra prospettiva e che ci convinca che abbiamo dentro di noi tutte le risorse per riscoprire la parte più profonda e luminosa della nostra personalità, con la quale sollevare la nostra condizione, al fine di accedere a piani di consapevolezza più vasti a partire dai quali è possibile vedere la soluzione dei problemi e di fatto modificare la realtà.

La nostra vita è governata da credenze inconsce mai esaminate, le quali operano a livelli sotterranei, quelli della coscienza ottenebrata. Si tratta di convinzioni che riguardano il nostro valore e la nostra competenza. Convinzioni depositatesi durante l’esperienza già vissuta nel corpo e tuttora operanti nel determinare sia il modo in cui ci poniamo in relazione col mondo, sia la nostra struttura psicofisica. Infatti, oltre a quell’apparato hardware che è lo strumento fisico costituito dal cervello, siamo dotati di un apparato molto più sottile, molto più profondo, che è rappresentato da tutta la componente psichica nel suo insieme, contraddistinta dalla mente, dall’intelligenza, e dalla mente profonda nella quale si sono depositate, attraverso diverse esperienze, tante impressioni e credenza che, da lì, a nostra insaputa, ci guidano. Tale deposito è l'inconscio, il karmashaya. Esso opera proprio come se si trattasse di un pilota automatico, una struttura programmata e tutto dipende dai dati che vi abbiamo deliberatamente inserito. Siamo di fatto pilotati da innumerevoli credenze inconsce che si sono depositate all’interno della nostra mente profonda e che definiscono un paradigma personale che condiziona il nostro comportamento ed il modo con cui ci rapportiamo agli altri. Ecco perché i Santi di tutte le Tradizioni hanno evidenziato la necessità di operare un lavoro profondo di pulizia della mente, al fine di acquisire un'altra prospettiva. Questo aspetto è anche molto in relazione con l'equilibrio sociale e con quella che è la visione più olistica della vita. Perché, come ci insegnano le Upanishad, c’è una stretta relazione fra il micro e il macro cosmo, e dunque ciò che accade dentro di noi, nel nostro piccolo, rispecchia anche quello che succede poi al livello della Società, e viceversa. In questo senso si inserisce il discorso dell’inconscio collettivo, spiegato e introdotto da C. G. Jung, del quale non siamo esenti perché tutti noi siamo in rete come parte di un’unica realtà. Diventa quindi importante acquisire una visione olistica della vita piuttosto che rimanere in quella frammentata.

Un nuovo paradigma.
Ciò è sempre più difficile al presente poiché la società di oggi è fortemente basata su di una visione meccanicistica, piuttosto che olistica. Cosa vuol dire questo? Fondamentalmente la fisica, a partire dal 1600 circa, grazie all'introduzione del metodo scientifico da parte di Galilei, ha introdotto leggi postulate da Padri Fondatori, grandi menti della fisica classica e allo stesso tempo anche spiritualisti dedicati, come Newton [Sir Isaac Newton, 04.01.1643 – 31.03.1727], i quali, da intelligenze superiori quali erano, avevano studiato la Natura e dedotto dei modelli che, nel contesto studiato, rappresentavano bene le leggi di funzionamento del mondo fenomenico. E' questo il periodo noto come il “periodo delle scienze esatte”, in cui ogni principio o legge è scientificamente tale se e solo se validata dall'esperimento. In sostanza da allora si è proceduto con la fiducia nel fatto che la mente umana potesse trarre dalla sperimentazione le leggi e la spiegazione della struttura dell'Universo e dei suoi fenomeni. Dal '600 al '900 sono state così elaborate diverse teorie scientifiche che hanno fatto progredire ogni ramo della scienza portando sicuramente contribuiti di indubbio valore. Tra le tante, citiamo la legge della gravitazione di Newton, sulla quale si fonda tutta la astronomia; la teoria ondulatoria della luce di Fresnel, sulla base della quale si è sviluppata l'ottica; la teoria di Maxwell che regge tutti i fenomeni dell'elettromagnetismo; la teoria di Dalton, che costituisce la base di tutta la chimica, ecc. Di fronte ai risultati ottenuti da questi studi, l'uomo si è convinto che qualsiasi avanzamento scientifico, qualsiasi conoscenza, può essere ottenuto in virtù della logica del raziocinio tramite evidenze sperimentali. Ciò ha portato ad una visione duale, meccanicistica e frammentaria della vita che ha allontanato da una prospettiva unitaria del creato, da cui sono sorte tutte le conseguenze degradanti sia al livello individuale che sociale.

A partire dall'inizio del '900, tuttavia, sono stati fatti molti studi che hanno messo completamente in discussione questi modelli e, studiando la materia nella sua parte più infinitesimale, hanno invece evidenziato che è enormemente più autentico il concetto di Unità e di quanto noi facciamo parte di un’unica Realtà nella quale, pur con la nostra peculiarità, siamo immersi interagendo con gli altri. I fondatori di questa fisica moderna – la fisica Quantistica – si sono interrogati su questi aspetti e all'inizio non si sono trovati molto a loro agio di fronte a determinati risultati che emergevano via via dagli esperimenti. Questo proprio perché tali risultati contraddicevano quelli dedotti in trecento anni di studi classici. Ciò ha portato ad un diversificato e affascinante confronto sul concetto di realtà.

La maggior parte delle persone pensa che la realtà sia costituita da ciò che i sensi presentano e per quattrocento anni la scienza ha condiviso e rafforzato questa impostazione. “Se non si può percepire con i nostri sensi non è reale”. Questa è stata la convinzione che ha guidato la nostra società, il nostro modo di studiare la materia, e, necessariamente, il nostro modo di relazionarci con gli altri. Infatti gli studi e i conseguenti risultati della fisica, e delle scienze in generale, influenzano inevitabilmente anche l’aspetto sociale e quello relazionale. Intra e infra relazionale. Le conclusioni ottenute dalle scoperte della fisica moderna, datate ormai cento anni, evidenziano aspetti molto importanti che inferiscono sul contesto sociale e relazionale e detti risultati sono così importanti che non è possibile non tenerne conto. Ciò che si è osservato è che quando si considera qualsiasi oggetto – ad esempio un tavolo – nella sua struttura più profonda, non soltanto al livello di nome (nama) o di forma (rupa), ma soprattutto nel suo livello energetico (shakti), si appercepisce una struttura molto diversa da quella che ci potremmo aspettare perché, per esempio, pur pensando che per il tavolo si tratti di una struttura solida, ci accorgeremmo che non è assolutamente così. Anche il nostro corpo al 99% è fatto di “vuoto” . Alcuni fisici affermano infatti che è veramente un miracolo che noi riusciamo a stare in piedi, perché tutto è apparentemente composto da “vuoto” e noi siamo appoggiati su qualcosa che è “vuoto”. Si tratta di un fatto estremamente sconvolgente che ci indica come la realtà sia qualcosa di ben diverso da quello che noi sperimentiamo con i sensi. Per fortuna ci sono stati pensatori e scienziati che hanno avuto la sensibilità di capire e comprendere l’importanza di queste osservazioni e quindi hanno studiato ancora più approfonditamente la materia e, a loro volta, hanno proposto postulati che cercavano di spiegare la Realtà secondo una nuova prospettiva. Ad esempio uno di questi scienziati, è stato il fisico David J. Bohm (1917 – 1992) ebreo ungherese – lituano, un poco messo da parte dalla Comunità Scientifica, come accade purtroppo spesso a chi fornisce teorie “fuori dal coro”. Bohm fece diversi studi nell'ambito della Fisica Quantistica, e fornì anche una definizione approfondita di Ordine Implicito ed Esplicito, avvicinandosi con questi concetti agli insegnamenti millenari tramandati dai Veda. Infatti Bohm fu in stretto contatto con Krishnamurti (1885 – 1986) e insieme scrissero anche un interessantissimo libro impostato tra Scienza e Spiritualità. Il suo lavoro, tuttavia, non è così diffuso in Occidente, purtroppo, a causa di una parziale “censura” dovuta a ignoranza e scetticismo, proprio come accaduto in ambito psicologico a diversi scienziati che hanno cercato di avere un approccio non di stampo meccanicistico a questa disciplina. E' il caso ad esempio di Karl Gustav Jung, padre fondatore della visione psicoanalitica che ha portato un contributo immenso alla definizione del sé e dell'inconscio collettivo integrando ed espandendo il lavoro del suo maestro Sigismund Schlomo Freud (1856 – 1939). Come succede nei corsi universitari di Fisica per Bohm, allo stesso modo Jung non viene studiato approfonditamente nei corsi di Psicologia, anzi, più facilmente viene messo da parte e citato solo ogni tanto. Insomma, c’è proprio la volontà automatica di mettere da parte certi punti di vista più innovativi, che si distaccano da quella che è la visione prevalente nella società di oggi.

Il modello Quantistico.
Mettendo insieme i risultati della Fisica Classica e della Fisica Moderna, possiamo quindi osservare che i fenomeni del mondo sensibile possono essere descritti da due modelli distinti a seconda che ci riferiamo al Macro o al Micro. Al livello macroscopico, i fenomeni sono descritti dal modello newtoniano messo per iscritto secoli fa. Tuttavia, quando pensiamo ad una scala molto piccola, al livello degli atomi, ci accorgiamo che quelle leggi non valgono più e che devono esserne applicate altre, quelle del modello Quantistico. Mentre il primo modello è sostanzialmente deterministico, il secondo è prevalentemente probabilistico, ovvero lo stato finale assunto dall'osservato è uno tra diverse possibilità probabili a priori, e dipendente dall'osservatore. Tuttavia il fatto rilevante è che ciò che succede al livello macroscopico è conseguenza di ciò che succede al livello microscopico. Ovvero, come spiega Bohm, c’è un Ordine implicito che sottende la nostra realtà macro, che è quindi basata su un ordine più profondo, un ordine che nella cultura Indovedica veniva definito con il nome di Dharma. Si tratta dell’Ordine Etico Universale. L'Ordine che sta alla base di tutto e sulla base del quale viene costruito l'ordine esplicito, quello tangibile. A livello esplicito si manifestano nomi e forme, le differenze; mentre al livello implicito c’è una unità nella quale ogni essere ha le sue peculiarità. Ecco quindi che questa nuova scienza è, appunto, olistica, una scienza del tutto piuttosto che una scienza riduzionistica. E in essa assume importanza fondamentale la figura dell’osservatore, ed in particolare la coscienza.

La dualità onda-particella e la manifestazione della realtà sensibile.
Il fenomeno della coscienza è stato preso in considerazione come determinante nella manifestazione della realtà sensibile solo a seguito dell'avvento dei primi esperimenti di Fisica Quantistica, e comunque qui in Occidente gli studi sulla coscienza sono in ogni caso assolutamente recenti.

Lo studio della fisica delle particelle è stato il presupposto per intuire il ruolo centrale della coscienza nella manifestazione della realtà sensibile.
Già alla fine dell’ottocento al livello microscopico si è visto che la materia è composta di atomi, strutture base che la compongono. Ciò è un fatto ben noto nella Cultura del Vedanta e del Vaisheshika, in cui è spiegata con grande precisione la struttura atomistica della materia. In seguito si è scoperto che l'atomo è composto di particelle elementari – protoni, elettroni e neutroni, in cui gli elettroni si muovono attorno ad un nucleo composto da neutroni e protoni. In particolare si è visto che una particella, ad esempio un elettrone, in generale, ha un comportamento anomalo: Esso può comportarsi sia come onda di energia, sia come un elemento corpuscolare. Si deve a Erwin Rudolf Josef Alexander Schrödinger (1887 – 1961) la definizione di una funzione d'onda, e di un'equazione che porta il suo nome, che modella matematicamente la particella-elettrone espressa come “onda” e grazie alla quale è possibile rappresentare in termini probabilistici la sua posizione all'interno di un atomo. Più o meno nello stesso periodo in cui Schrödinger ha definito l'equazione della funzione d'onda, Werner Karl Heisenberg (1901 - 1976) ha postulato il suo principio di indeterminazione, secondo cui è esplicitata l'impossibilità di conoscere con esattezza la realtà attraverso i sensi. Infatti, dalla definizione dell'elettrone in quando onda di probabilità, Heisenberg ha osservato che non è possibile definire simultaneamente la posizione e la velocità dell'elettrone; nota una rimane indefinita l'altra. Si è inoltre osservato che la particella, oltre alle caratteristiche di onda, poteva assumere, sotto altre condizioni, delle connotazioni di corpo corpuscolare vero e proprio, dotato di massa, e di tutti gli attributi connessi. Ciò che fa la differenza tra una manifestazione della particella come onda ed una come corpuscolo, è la presenza di un osservatore, e quindi della coscienza. In assenza di un osservatore che considera il suo movimento, il suo comportamento, questa entità di energia si comporta come un’onda, se invece c’è un osservatore che misura l'oggetto, essa si manifesta come una massa, come una particella. Ciò è qualcosa che ha sconvolto completamente la comunità degli scienziati per tutte le implicazioni che possono derivare non soltanto a livello scientifico, che sono pure importanti, ma anche e sopratutto a livello filosofico e sociale, poiché questo fenomeno ha una grossa influenza circa l'interpretazione della realtà, in quanto i risultati degli esperimenti affermano che la manifestazione al livello grossolano della realtà dipende essenzialmente da un osservatore. La realtà è formata da un insieme di possibilità, e quella che si manifesta è una tra tante possibili, definita per il sovrapporsi di una coscienza.